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Archive for luglio 2013

Uomo che guarda attraverso la nebbia

Mi costa fatica come non mai
nominare gli alberi e le finestre
e anche il futuro e il dolore
il campanile è invisibile e muto
ma se si pronunciasse
i suoi rintocchi
sarebbero di un fantasma malinconico

l’angolo perde il suo spigolo affilato
nessuno direbbe che esiste la crudeltà

il sangue martire è appena
una pallida macchia di rancore

come cambiano le cose
nella nebbia

i voraci non sono altro
che poveri sicuri di se stessi
i sadici son colmi d’ironia
i superbi sono prue
di qualche collera altrui
gli umili invece non si vedono

ma io so chi è chi
dietro a quel telone d’incertezza
so dov’è l’abisso
so dove non c’è dio
so dov’è la morte
so dove non ci sei tu

la nebbia non è oblio
ma dilazione anticipata

speriamo che l’attesa
non logori i miei sogni
speriamo che la nebbia
non arrivi ai miei polmoni
e che tu ragazzina
emerga da essa
come un bel ricordo
che diventa un viso

e io sappia infine
che lascerai per sempre
la densità di quest’aria maledetta
quando i tuoi occhi troveranno e festeggeranno
il mio benvenuto che non fa pause

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MARIO BENEDETTImario_benedetti, nato in Uruguay nel 1920, è scomparso il 17 maggio 2009. Considerato uno dei massimi narratori e poeti viventi, ha cominciato a guadagnarsi la vita come commerciante, contabile, impiegato, giornalista e traduttore. È stato direttore del Centro di Ricerche Letterarie della “Casa de las Américas” all’Avana, e del Dipartimento di Letteratura Latinoamericana dell’Università di Montevideo. Dopo il golpe militare del 1973, è partito per un esilio durato 12 anni, prima in Argentina, poi in Perù, a Cuba e in Spagna. Nel 1999 ha ricevuto il prestigioso Premio di Poesia Reina Sofía. Tra le sue opere tradotte ricordiamo Racconti (Salerno, 1995), Inventario: poesie 1948-2000 (Firenze, 2001), Umana gloria (Milano, 2004). La tregua, ripubblicato da nottetempo nel 2006, era uscito con Feltrinelli nel 1983.

Pablo Neruda – Spiego alcune cose

Chiederete: ma dove sono i lillà?
E la metafisica coperta di papaveri?
E la pioggia che fitta colpiva
Le sue parole, riempiendole
Di buchi e uccelli?
Vi racconterò tutto quel che m’accade.
Vivevo in un quartiere
Di Madrid, con campane,
Orologi, alberi.
Da lì si vedeva
Il volto secco della Castiglia,
Come un oceano di cuoio.
La mia casa la chiamavano
“La casa dei fiori”, ché da ogni parte
Conflagravan gerani: era
Una bella casa,
Con cani e scugnizzi.
Ti ricordi, Raúl?
Ti ricordi, Rafael?
Federico, ti ricordi,
Ora che sei sottoterra,
Ti ricordi della mia casa balconata, dove
La luce di giugno ti soffocava la bocca di fiori?
Fratello, fratello!
Tutto
Era gran voci, sale di mercanzie,
Mucchi di pane palpitante,
Mercati del mio rione di Argüelles, con la sua statua
Come una seppia pallida tra i merluzzi:
L’olio era versato nel cucchiaio,
Un profondo brusìo
Di mani e piedi riempiva le strade,
Metri, litri, acuta
Essenza della vita,
Pesci accatastati,
Intreccio di tetti nel freddo sole, dove
La freccia s’affatica,
Fino avorio delirante delle patate,
Pomodori in fila, in fila fino al mare.
E una mattina tutto era in fiamme,
E una mattina i roghi
Uscivan dalla terra,
Divorando esseri,
E da allora fuoco,
Da allora polvere da sparo,
Da allora sangue.
Banditi con aerei e con mori,
Banditi con anelli e duchesse,
Banditi con neri frati benedicenti
Arrivavan dal cielo a uccidere bambini,
E per le strade il sangue dei bambini
Correva semplicemente, come sangue di bambini.
Sciacalli che lo sciacallo schiferebbe,
Sassi che il cardo secco sputerebbe dopo morsi,
Vipere che le vipere odierebbero!
Davanti a voi ho visto
Sollevarsi il sangue della Spagna
Per annegarvi in una sola onda
Di orgoglio e di coltelli!
Generali
Traditori:
Guardate la mia casa morta,
Guardata la Spagna spezzata:
Però da ogni casa morta esce metallo ardente
Invece di fiori,
Da ogni foro della Spagna
La Spagna viene fuori,
Da ogni bambino morto vien fuori un fucile con occhi,
Da ogni crimine nascono proiettili
Che un giorno troveranno il bersaglio
Del vostro cuore.
Chiederete: perché la tua poesia
Non ci parla del sogno, delle foglie,
Dei grandi vulcani del paese dove sei nato?
Venite a vedere il sangue per le strade,
Venite a vedere
Il sangue per le strade,
Venite a vedere il sangue
Per le strade!Neruda

Mariangela Gualtieri

Forse si muore oggi – senza morire.
Si spegne il fuoco al centro.
Sanguinano le bandiere. Generale è la resa.
Ciò che nasce ora crescerà in prigionia.
Reggete ancora porte invisibili dell’alleanza
bastioni di sereno. Puntellate il bene
che si sfalda in briciole in cartoni.
Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce
il debole recinto della paura – la bestia spaventosa.
A chi chiedere aiuto? E’ desolato deserto il panorama.
Si faccia avanti chi sa fare il pane.
Si faccia avanti chi sa crescere il grano.
Cominciamo da qui.

(da “Bestia di gioia”, Einaudi 2010)

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Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) è una poetessa e scrittrice italiana. Ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca negli anni Ottanta. Nella sua opera, sia poetica che di teatro, ha spesso accentuato l’aspetto della “inadeguatezza della parola”.
OPERE:mariangela-gualtieri
Antenata (Crocetti Editore, 1992)
Fuoco centrale (Quaderni del battello ebbro, 1995)
Sue dimore (Catalogo Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1996)
Nei leoni e nei lupi (Quaderni del battello ebbro, 1997)
Parsifal (Teatro Valdoca, 2000)
Chioma (Teatro Valdoca, 2000)
Fuoco centrale e altre poesie per il teatro (Einaudi, 2003)
Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006)
Sermone ai cuccioli della mia specie (L’arboreto Edizioni, 2006)
Paesaggio con fratello rotto – Trilogia (Luca Sossella Editore, 2007)
Racconti delle grandezze (Il Vicolo, 2008)
Bestia di gioia (Einaudi, 2010)
Caino (Einaudi, 2011)
Sermone ai cuccioli della mia specie – nuova edizione libro + CD audio (Teatro Valdoca, 2012)

Mario Rivero

1945

Non è stato molto quello che ho potuto capire della vita di mio padre
perché lui era un meccanico di telai
invariabilmente intrattabile
che si alzava alle 5 del mattino
e lavorava sodo

Il suo nome e il suo cognome non importano
Non li porto nemmeno
Ma è stato un buon maestro, m’insegnò la durezza
Quando era giovane si radeva i peli del petto
affinché gli venissero più folti

Nel 1922 contrasse la gonorrea

Nerboruto e peloso
io non avrei potuto abbracciare il suo ventre
con le mie due braccia distese
Le sue proprietà una giacca blu e un paio di pantaloni azzurri
non si chiamavano blue-jeans allora né andavano di moda

Ho vissuto dieci anni con l’immagine di quei vestiti
che erano sempre sporchi di grasso e di olio
Ma forse non era mio padre quello che descrivo
bensì un uomo qualsiasi
il padre di Giovanni il padre di Saul il padre di Nicola
il padre di Piero

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Mario Rivero, poeta colombiano, giornalista e critico d’arte, cantante di tango in gioventù, inato nel 1935 e morto a Bogotà il 13 aprile 2009.
E ‘stato chiamato “poeta urbano” per i temi della vita in città, le strade, la disperazione, la malinconia del borgo usando un tono diretto, colloquiale e privo di lirismo. Fondo’ con Aurelio Arturo e Fernando charry Lara la rivista di poesia Golpe de Dados esercitando un lavoro critico e poeticomario_rivero_por_carlos_duqueg davvero notevole, dal 1972 fino alla sua morte.

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